mercoledì 22 marzo 2017

Il potere dei fiori

Swami Gaurishankara Saraswati
operatore linotipista della B.S.Y.

Sin dall’inizio dei tempi l’uomo ha sempre contemplato i fiori. Tracce di questo si ritrovano nelle poesie di tutti i tempi. Tutti noi sappiamo quanto siano belli i fiori e a tutti piace guardarli ma avete mai pensato che potrebbero esserci delle ragioni più sottili dietro a tutto questo, che vanno oltre al fatto che con essi appaghiamo la vista e l’olfatto? Dopotutto esistono molti fiori di plastica che sembrano veri, però piacciono a poche persone. Se vogliamo rallegrare o aggiungere vita a una stanza di solito mettiamo dei fiori veri. La maggior parte dei biglietti di auguri hanno dei fiori disegnati. Molti tessuti, carte da parati e da regalo hanno motivi floreali.

I fiori rappresentano la vita e l’amore. Quando andiamo a fare visita a un amico malato, di solito, portiamo dei fiori. Fino a non molto tempo fa, un innamorato portava sempre dei fiori alla sua amata.

Quando si va dal guru è usanza portargli qualcosa. Ci sono cinque tipi di doni tradizionalmente accettati: fiori, foglie speciali, acqua, frutta e oro (non denaro). I fiori, comunque, rappresentano l’offerta più comune.

Nel tantra yoga si fa largo uso di fiori. Nel kundalini yoga si passa attraverso a dei fiori: ogni chakra del corpo è rappresentato da un fior di loto. Per la meditazione molte persone scelgono un fiore come personale simbolo di visualizzazione. Nei templi dedicati a Shiva, a Krishna e a Rama sono sempre usati dei fiori per compiere le adorazioni. Nei vari dipinti queste divinità sono raffigurate con delle ghirlande di fiori, o seduti su un fiore o con un fiore in mano. Nelle cerimonie religiose, nei matrimoni e nei funerali, i fiori non mancano mai.

Da un’analisi sui rimedi dei fiori di Bach possiamo ottenere una conoscenza approfondita circa i poteri contenuti nei fiori. Poi, magari, potremmo arrivare a vedere un fiore come un mandala vivente.

Tramite l’intuizione, la fede e l’unidirezionalità, il dottor Edward Bach scoprì e rivelò al mondo il sistema di cura naturale dei rimedi floreali. Donò liberamente la sua conoscenza. Fama e reputazione non fecero alcuna presa su di lui perché il suo unico desiderio era di ridare salute agli ammalati. Sin dall’infanzia Edward Bach aveva l’idea di trovare un modo semplice per guarire le malattie persistenti e da adulto questo divenne la forza che motivò il lavoro di tutta la sua vita.

Negli anni durante i quali lavorò come patologo, batteriologo e omeopata il suo unico scopo era di trovare dei rimedi puri e una forma semplice di trattamento da usare in sostituzione ai metodi scientifici e complicati che non danno la certezza di una cura. L’intensità dello scopo combinato all’interesse per tutte le cose diede forma a un carattere da grande genio destinato, però, a rimanere solo. Pochi riescono a seguire o comprendere la determinazione di una persona che conosce lo scopo della propria vita sin dall’inizio e che non lascia che nulla interferisca con tale scopo.

Come studente di medicina, Edward Bach passava poco tempo sui libri. Per lui il vero studio delle malattie consisteva nell’osservazione di ogni singolo paziente. Osservò come ognuno è influenzato dalla propria malattia e vide come le loro differenti reazioni ne influenzavano il decorso, la gravità e la durata.

Come medico praticante in Bach cresceva sempre più l’insoddisfazione dei risultati ottenibili con i trattamenti ortodossi. Infatti, anche se molti dei suoi pazienti miglioravano e molti apparentemente guarivano, la salute di tutti, però, non sempre persisteva a lungo. C’erano molti casi cronici e di lunga degenza che non ricevevano alcun beneficio da nessuno dei vari tipi di trattamento. Gli sembrava che la medicina moderna stesse fallendo in molti casi e che le operazioni chirurgiche raramente riuscivano a dare sollievo alle sofferenze e che davano un piccolo e temporaneo conforto.

A causa dell’insoddisfazione per la medicina ortodossa Bach iniziò a occuparsi di batteriologia. Dopo mesi di investigazioni e ricerche si convinse che il vaccino per i batteri intestinali, iniettato nel flusso sanguigno del paziente, sarebbe potuto servire per ripulire il sistema dai veleni che causano la malattia cronica. I risultati che ottenne con il suo uso furono oltre ogni aspettativa ma egli non si sentiva ancora soddisfatto a causa del dolore arrecato ai pazienti per l’uso degli aghi delle siringhe. Il suo lavoro sulla tossiemia intestinale è ben noto. I risultati delle sue scoperte furono pubblicate nelle riviste mediche e il suo metodo adottato da tutta la classe medica.

Attraverso l’osservazione capì che lo stesso trattamento non cura lo stesso disturbo in tutti i pazienti. Questo gli fece sorgere l’idea di ricercare dei rimedi adatti a delle malattie particolari. Pazienti con personalità o temperamento simili spesso rispondevano allo stesso rimedio, mentre quelli di tipologia differente, con lo stesso problema, avevano bisogno di un altro trattamento. Presto nelle sue ricerche scoprì che la personalità è molto più importante del corpo fisico nel trattamento delle malattie. Il modo d’intendere la vita da parte del paziente, le sue emozioni e i suoi sentimenti erano per lui i fattori principali nella decisione del trattamento. Vide che il processo di guarigione spesso era doloroso, alcune volte più doloroso della malattia stessa e ciò rafforzò la sua convinzione che la vera guarigione dovrebbe essere dolce, indolore e benigna.

Nel corso di tutta la sua vita le sue teorie hanno avuto scarsa utilità fino a che non è riuscito a provarle. Per Bach l’esperienza pratica e l’osservazione erano l’unica via d’insegnamento. La sua conoscenza e comprensione derivavano dall’intuizione e dalla sua esperienza personale; i risultati del suo lavoro furono tutti pratici. Al termine della sua vita lasciò tutto il suo lavoro in un piccolo libro di trenta pagine, ‘I dodici guaritori e altri rimedi’, scritto in modo chiaro e semplice in modo che fosse comprensibile per tutti.

Anche la sua salute non era buona ma il dottor Bach lavorava, comunque, instancabilmente. Non poteva arrendersi alle proprie disabilità mentre c’era tanto da fare e tanti necessitavano d’aiuto. Così arrivò ad ammalarsi in maniera critica e gli fu detto che gli restavano solo tre mesi di vita. Con la determinazione di portare a termine il proprio lavoro, ritornò in laboratorio non appena fu in grado di camminare. S’immerse talmente in maniera totale nel lavoro che i mesi volarono. Dimentico dei suoi malanni, Bach si scoprì più forte. I tre mesi erano passati da un po’ quando si accorse che la sua salute era migliore di quanto non fosse stata negli ultimi anni. Per coloro che lo videro durante il periodo peggiore della sua malattia, il suo recupero sembrò un miracolo stupefacente. Bach indagò la ragione del suo meraviglioso recupero e arrivò alla conclusione che un interesse coinvolgente, un grande amore, uno scopo definitivo nella vita sono fattori decisivi per la felicità dell’uomo sulla terra. Questi furono per lui degli incentivi che gli fecero affrontare le difficoltà e lo aiutarono a tornare in salute.

Come patologo e batteriologo dell’Ospedale Omeopatico di Londra, Bach procedeva alla preparazione dei vaccini dagli organismi intestinali secondo il metodo omeopatico e li somministrava ai pazienti per via orale. Tali vaccini per via orale, chiamati ‘I sette nosodi di Bach’, ricevettero un benvenuto entusiastico dalla classe medica e furono ampiamente utilizzati in Inghilterra, America, Germania e in altri Stati da medici allopatici e omeopati. La fama di Bach cresceva sempre più portandogli molto lavoro a cui, ormai, non riusciva più a far fronte ma lui mantenne la stessa stanzetta dove riceveva i poveri senza farsi pagare.          

Nonostante il successo dei nosodi, Bach era insoddisfatto dalla tipologia dei rimedi usati. Voleva trovare dei rimedi puri, derivanti da piante ed erbe. In questo nuovo lavoro l’intuizione lo guidò alle vere scoperte tramite l’intelletto e la scienza. Era guidato dalla stessa conoscenza interiore che ispira i musicisti nel suonare melodie e i poeti a comporre versi.

Una sera, durante un grande ricevimento svogliatamente guardò le persone intorno a lui. Immediatamente realizzò che l’umanità intera consiste in un numero definito di gruppi di tipologie e che ogni individuo appartiene ad una di esse. Guardò le persone accanto a lui, osservò come mangiavano, sorridevano e si muovevano. Studiò le loro espressioni facciali e ascoltò il tono delle loro voci. Li raggruppò in categorie e li comparò con i vari gruppi di batteri. Ogni paziente che andava da lui da quel momento in poi fu attentamente osservato: ogni caratteristica, umore, reazione alla malattia e ogni piccola abitudine fu annotata. Sulla base di queste indicazioni prescriveva loro i rimedi che aveva.

Ogni momento libero che aveva dallo svolgimento della professione medica e dal laboratorio lo trascorreva nei campi alla ricerca di piante ed erbe che sperava di poter usare al posto dei vari nosodi batterici. Obbedendo a un improvviso impulso di andare in Galles, venne gratificato nel trovare due bellissime piante: il tenue Impatients color malva e il dorato Mimulus. Li portò con sé a Londra e li preparò nella maniera omeopatica. Li prescrisse in accordo alla personalità del paziente e con sua grande gioia ebbe subito degli ottimi risultati. In seguito trovò Clematis e con soli questi tre rimedi abbandonò tutte le altre forme di trattamento.

Così grande era l’urgenza di Bach per la ricerca dei rimedi floreali che non si riposava un istante e non portava avanti il suo lavoro sui nosodi. Alla fine decise di abbandonare tutto ciò che possedeva a Londra e lasciò il lavoro sui nosodi nelle mani dei dottori che lo avevano assistito. Chiuse il laboratorio, bruciò tutte le dispense e i fogli che aveva scritto sul lavoro precedente e distrusse tutte le siringhe e i flaconi di vaccini. All’età di quarantatré anni diede il via alla sua grande avventura senza nessun rimpianto per la salute e la fama perse. Era sicuro che i rimedi che aveva selezionato fossero perfettamente preparati dalla natura stessa e stessero aspettando solo di essere scoperti. Scoprì anche di possedere il dono divino della guarigione con le proprie mani.

Edward Bach ritenne sempre che la capacità di guarire non dovesse essere vista come una professione ma come un’arte divina. Da quando lasciò Londra alla fine della propria vita non ricevette nessun compenso per i consigli e gli aiuti che diede. Negli anni di ricerca che seguirono, soffrì di gravi disagi fisici e di privazioni per la mancanza di denaro, ma questo lo condizionò molto poco e non interferì affatto con il suo lavoro. Aveva sempre tutto ciò di cui aveva bisogno e anche qualcosa da poter condividere con chi era più bisognoso di lui. Ciò fu per lui la conferma che era nella direzione giusta e che tutto quello che doveva fare era di andare avanti con fiducia completa nella fonte divina.

Divenne consapevole che tutti i suoi organi di senso stavano diventando sempre più acuti e sviluppati. Scoprì di essere capace di percepire, sentire e vedere cose di cui prima non era assolutamente consapevole. Grazie allo sviluppo sottile del senso del tatto fu in grado di sentire le vibrazioni e il potere emesso da ogni pianta e volle testarle. Se prendeva in mano la parte di una pianta o se la portava alla lingua poteva sentirne gli effetti e le proprietà nel suo corpo. A volte ebbe effetti rafforzanti e rivitalizzanti nella mente e nel corpo. Altri gli procuravano dolori, vomito, febbre, eruzioni cutanee, ecc.

L’ultimo anno della sua vita lo trascorse camminando per centinaia di miglia, esaminando e annotando tutte le caratteristiche di moltissime varietà di piante. Giunse alla conclusione che le piante da lui studiate potevano fiorire quando le giornate si allungavano e il sole era forte. Per le proprietà medicinali complete aveva necessità di usare solo la corolla del fiore in quanto la vita della pianta e il suo seme potenziale erano concentrate nel fiore.

Tratto da: Yoga Magazine