mercoledì 30 marzo 2016

Esperienze di yoga in India, in ashram, con il guru

Swami Chidprakash Saraswati

2°parte

L’esperienza comune, mia e di molte persone, in ashram a Rikhia e a Munger è di trovarsi in un luogo equilibrato, piacevole, che dà protezione. Sono luoghi dove si percepisce la forza delle intense pratiche spirituali che vi si compiono. La sensazione più comune che si ha è la percezione che qui l’anima si riposa, gioisce, e chi non ha una direzione nella vita, qui la trova. Quando vi sono dei programmi quello che stupisce i visitatori, oltre alla bellezza dei canti dei mantra o di qualsiasi altro programma in corso, è l’accuratezza, la precisione, insieme alla purezza e alla semplicità, messe in ogni minimo dettaglio!

Un’altra mia esperienza è che in ashram avviene qualcosa di magico: se in tutta l’India i samskara, i cambiamenti interiori, viaggiano dieci volte più velocemente del normale, qui cento volte di più. Ciò che intendo dire con l’espressione “i samskara viaggiano più velocemente” è che, man mano, ci si avvicina sempre più a scoprire qual è la propria natura, a percepire chi siamo veramente, a vedere quei lati dalla propria personalità che non si sapeva d’avere, ecc.

Personalmente sono sempre stato un tipo un po’ solitario, uno spirito libero. Mi piace stare in mezzo alla gente, ma preferisco osservare le persone da una certa distanza piuttosto che essere invischiato o coinvolto nel turbinio della presenza altrui. E in ashram ho sempre trovato il luogo adatto per vivere questo lato della mia personalità.

Molte persone descrivono l’ashram come una grande famiglia, un luogo dove poter godere di quella gioia interiore ed esteriore appagante e costruttiva. Questo è sicuramente vero ed è una delle esperienze che ho fatto, ma quest’aspetto non è stato per me uno dei più importanti.

Quello che ho fortemente sperimentato è che a ogni evento a cui ho partecipato ho imparato tantissimo e ognuno di essi ha contribuito a trasformare la mia intera personalità ad ogni livello.
Programmi come la Sat Chandi Maha Yajna, Yoga Purnima, Maha Lakshmi Narayana Mahayajna, il Convegno Internazionale dello Yoga con Sudarshan Mahayajna sono stati delle vere benedizioni su di me.

Quello che ho notato partecipando ai vari programmi in ashram è che tutti i partecipanti fanno esperienza di tre aspetti contemporaneamente:

1.    Tutti sono impegnati affinché il programma funzioni in tutti i dettagli.
2.    Le persone che s’incontrano a ogni evento non si incontrano a caso. Ognuna di esse è soggetta a una purificazione e a una condivisione collettiva dei vari karma o samskara che hanno in comune, e possono fare esperienza, consciamente o inconsciamente, che tra tutti vi è una comunione, (unione – comune) uno yoga collettivo. Questo può essere sperimentato sia nei momenti in cui si percepisce profonda gioia e/o amore sia nelle esperienze conflittuali che si vivono attraverso le interazioni con gli altri o nelle varie situazioni in cui ci si trova a essere coinvolti;
3.    Ognuno sperimenta, poi, una propria individuale purificazione e una personale evoluzione interiore.

Molte volte mi è successo che arrivavo dall’Italia veramente molto stanco con in mente solo il pensiero di vedere Swamiji, riposarmi e non vedere nessun’altra persona. Invece il seva che mi veniva affidato risultava essere molto duro e pesante fisicamente, oppure altre volte mi capitava di dover lavorare insieme a qualcuno che in quel momento non mi era affatto simpatico.

In quei momenti di conflitto ho fatto esperienza che ciò che si vede da fuori è il contrario di ciò che accade dentro e che, effettivamente, “siamo tutti fratelli”, come diceva Gesù, non solo nel senso spirituale, sottile, ma soprattutto  nel suo significato di reale “parentela genetica”.

La presenza del guru in ashram non è solo fisica: non c’è solo l’individuo con il corpo fisico, i suoi cinque organi di senso, ecc. Nell’ashram si può fare esperienza del guru nella sua forma più estesa: l’ambiente dell’ashram può diventare un luogo magico per chi diviene consapevole dei fili sottili che muovono gli eventi. Ogni azione e reazione hanno un loro equilibrio, con il luogo, con le persone presenti e con i samskara delle persone presenti, con gli obiettivi e le priorità dell’ashram, la purificazione e l’evoluzione dei presenti.

Ricordo di una volta in ashram a Rikhia, quando Paramahamsa Satyananda era ancora presente nella sua forma fisica, che rimasi molto sorpreso nel percepire e vedere che gli swami, i sannyasin e tutti i residenti dell’ashram, sembravano essere vuoti, senza personalità.

Questa cosa mi scosse, non capivo, pensai tra me e me “che strano”, e interpretai questo fenomeno come qualcosa di negativo. In seguito capii che la mente di quelle persone si era svuotata da tutti i condizionamenti personali dati dalle interazioni con il mondo “normale”, dalle varie attività mondane, frenetiche e quotidiane cui tutti siamo soggetti. Si erano svuotati da ciò che normalmente chiamiamo “la nostra personalità” che, in realtà, altro non è che il frutto di una miriade di condizionamenti dati dai familiari, dagli antenati, dal gruppo etnico d’appartenenza, dalla pubblicità dei media, dalle mode del momento e via di seguito.

In quel momento la forza di Swami Satyananda faceva da “coscienza collettiva”, da “antenna trasmittente” e le persone erano le “stazioni riceventi”. In un contesto del genere il parlare era quasi superfluo, perché si faceva esperienza che oltre al linguaggio normale ve n’era un altro, più sottile e profondo, che permeava ogni essere vivente, uomo o animale e tutti erano in perfetta sintonia.

Un po’ come accade tra l’ape regina e le altre api dell’alveare: più esseri a livello fisico, ma un unico essere a livello sottile, mentale. Qualcosa di simile alle storie che trattano del rapporto tra il Signore Rama ed i suoi sudditi: si racconta che essi entrassero in una sorta di estasi ogni volta che Sri Rama era presente nelle vicinanze. O come si racconta dei primi faraoni egizi che avevano un tale potere, una tale forza, da mantenere tutto il popolo in una specie di comunione mentale. Tutto questo è una forma di yoga!!?

Naturalmente le esperienze vissute in ashram non sono state sempre idilliache, non sempre ho avuto la sensazione di trovarmi in una specie di paradiso. Anzi, spesso, è stato l’esatto contrario. Ma, come ripeteva spesso Swami Satyananda, è nell’affrontare e vedere i propri lati negativi che si migliora, si evolve e ci si libera da essi.

Molte volte il guru lila (il gioco del guru) può fare vari “scherzetti”, ma le persone coinvolte in questo procedimento non vivono affatto questa esperienza come uno “scherzo”, ma piuttosto come un sottile e macabro gioco dove si è costretti ad affrontare tutto ciò che normalmente si cerca di evitare: cose, situazioni esterne ed interne alla propria personalità, paure, rabbie, rancori e via dicendo. In quei momenti l’esperienza non è per nulla piacevole, alle volte può sembrare di aver preso due cavi di corrente e creato una specie di corto circuito nel proprio cervello, oppure che vi sia una mano oscura che ti squarcia il torace e rovista dentro fino a trovare qualcosa come un grande e scuro polipo e lo strappa via.

Quando avviene questo, per un po’ di tempo, si vive la sensazione d’essere totalmente vuoti, senza volontà, come se ti avessero fatto l’elettroshock; ma una volta elaborata l’esperienza, non si può fare a meno di ringraziare per la fortuna di aver avuto questa particolare “benedizione”: l’egodectomia!  S’inizia a perdere un po’ di quello che si pensa di essere e s’incomincia a diventare quello che si è realmente!

Ogni volta che ho visitato gli ashram della Bihar School of Yoga ho sempre avuto delle esperienze interiori intense, sia alla presenza di Swami Satyananda sia alla presenza di Swami Niranjan. Di tutte queste esperienze voglio raccontare quella che ho avuto in occasione della mia ultima visita a Rikhiapeeth per la celebrazione di Akshaya Tritiya nel mese di aprile 2015 durante il programma di Sri Vidya Puja.

Sono arrivato in ashram il 18 aprile ed il giorno successivo è iniziato il programma. Mi hanno fatto sedere in prima fila, dove di solito si siedono i sannyasin, proprio di fronte al palco dov’erano seduti Swami Niranjan e Swami Satsangi e alla mia sinistra vi era l’area dove avveniva la cerimonia della Yajna.

Appena dato l’inizio al programma le yogini iniziarono a recitare i mantra. I suoni erano penetranti e avevo la sensazione che i miei occhi si girassero all’indietro tra ajna chakra e bindu e non potevo fare a meno di chiudere le palpebre per poi riaprirle dopo qualche secondo.

Finito il programma del mattino a un certo punto mi ritrovai con Swami Niranjan nei paraggi ed andai a salutarlo nel modo tradizionale, facendogli pranam e prostrandomi ai suoi piedi. Lui mi sorrise e mi disse: “Ohi Chidprakash, che fai, stai dormendo?”. Ed io: “No Swamiji”. E lui: “Guarda che stavi dormendo.” Ed io: “Non lo so Swamiji, forse qualche istante.”

Nel pomeriggio mi sedetti nello stesso posto e quando le yogini iniziarono a ripetere i mantra, iniziai a sperimentare la stessa sensazione del mattino. All’arrivo di Swami Satsangi e di Swami Niranjan, mi sforzai di stare fermo, immobile e, soprattutto, di non chiudere gli occhi, anche perché Swamiji ha detto spesso, in altri programmi, che chi siede davanti deve mantenere “un decoro” e stare seduto nella maniera opportuna, altrimenti può andare a sedersi da un’altra parte.

Swamiji, dopo un po’ di tempo, iniziò a condurre un satsang e per via dello sforzo che stavo facendo per tenere gli occhi aperti, cominciai a osservare i suoi: mentre li osservavo, percepivo le mie palpebre che si aprivano e si chiudevano mentre quelle di Swamiji erano assolutamente ferme.

Allora iniziai a osservare le palpebre delle altre persone, senza perdere di vista quelle di Swamiji: alcuni le battevano alla mia frequenza e altri un po’ più lentamente, mentre Swamiji non le batteva mai. Trascorsi circa 30-40 minuti di satsang lo vidi battere le palpebre solo una volta.

Ora, io non sono un medico, ma è risaputo che battere le palpebre, oltre a lubrificare la cornea, da un punto di vista più sottile, viene fatto per rimettere a “fuoco” l’occhio, un organo di senso connesso alla mente.
La nostra mente, che naturalmente è dissipata, fa fatica a essere concentrata e si distrae facilmente, magari presa da qualche pensiero oppure attratta da vari oggetti e/o situazioni. Attraverso il movimento delle palpebre tutto viene resettato e rimesso “a fuoco” e si ricomincia a focalizzare la mente sull’argomento in cui eravamo coinvolti.

Forse Swami Niranjan ha la mente focalizzata in un’unica direzione? Oppure è un brahma-acharya? Cioè, la sua mente è costantemente fissa nell’assoluto, anche quando interagisce con tutti noi?

Sta di fatto che se non avessi avuto la possibilità di salutare Swamij lui non m’avrebbe detto nulla e io non avrei notato questa cosa particolare.

Ho fatto spesso questo genere d’esperienze, alcune volte anche in maniera più intensa. Esse non sono tanto importanti in quanto tali, ma per il fatto che risultano essere delle prove tangibili, percepite attraverso i cinque sensi, di ciò che i nostri guru e maestri affermano da sempre e che possiamo trovare scritto ovunque, ma che per la maggior parte di noi, persi nella vita mondana, tutto viene liquidato come qualcosa di mitico, d’irreale, come se fosse una favola.

In realtà tutto quello che è stato scritto e detto si basa sulla verità che può essere compresa solo attraverso l’esperienza.
Per mezzo della pratica continua sotto forma di disciplina, che siano asana, pranayama o karma yoga, bhakti yoga o altri percorsi dello yoga, nei nostri ashram e per mezzo dei nostri guru, questa esperienza, o yoga, si può fare.

Hari Om Tat Sat